Artisti: Giuseppe Festa e i Lingalad
Scrittura, Musica, Natura: queste sono le grandi passioni di Giuseppe Festa.
Autore di romanzi tradotti in diverse lingue (Il passaggio dell’orso, L’ombra del gattopardo, La luna è dei lupi), cantante dei Lingalad, educatore ambientale e autore di reportage sulla natura trasmessi dalla Rai.
Passioni che sembrano appartenere a mondi diversi, ma che nella vita di Giuseppe camminano fianco a fianco sullo stesso sentiero.
Tolkien, una storia
Molti di quelli che da anni seguono i nostri concerti o che conoscono la biografia dei Lingalad, sanno che le canzoni di Voci dalla Terra di Mezzo sono state composte per essere suonate accanto al fuoco con gli amici, o durante una passeggiata notturna nei boschi, alla maniera Hobbit. Il successo dell’album e tutto ciò che è venuto dopo sono stati eventi del tutto casuali e accessori, seppure graditi.
In pochi, però, sanno cosa mi ha spinto ad amare così tanto Il Signore degli Anelli e il perché di un legame così profondo col mondo di Tolkien. Penso di averne parlato pubblicamente solo una volta, tanti anni fa, a un’edizione di Hobbiton sull’Appennino Tosco-emiliano. Ricordo che l’incontro si teneva nella stanza di un castello: la giornata piovosa e il pubblico limitato aveva creato quel senso di intimità e di dolce malinconia adatto ad aprire i cuori.
L’amore per la Terra di Mezzo nacque in un momento buio della mia vita. Un momento di forte depressione, di cui avevo ben chiare le cause ma dalla quale non riuscivo a uscire.
In quel periodo frequentavo l’università Statale di Milano, facoltà di Scienze Naturali. Stavo seguendo un corso che mi affascinava: Paleontologia. Un osso duro, uno scoglio su cui sudai per molti mesi ma che alla fine riuscii a superare. Con soddisfazione, ma anche con cicatrici profonde e inaspettate. Già, perché immergermi per mesi in una dimensione temporale che si misurava in milioni o miliardi di anni, mi fece apparire del tutto insignificante il tempo di una vita umana. Della mia vita. Non solo: l’approccio all’essere umano e al suo intelletto (sentimenti compresi) come semplice conseguenza di un lungo processo evolutivo e puramente meccanico, avevano prosciugato in me qualsiasi dimensione spirituale. Improvvisamente, tutto mi apparì vuoto, privo di significato intrinseco e senza prospettiva. Ero giovane ma mi sentivo un vecchio con due milioni di anni sulle spalle. Non sapevo come uscirne. Trascorsi un lungo periodo tappato in casa, senza progetti, apatico, sprofondato nella certezza che nulla avesse più senso. Anche i miei genitori, poveretti, non sapevano che pesci pigliare. Non capivano fino in fondo il motivo di ciò che mi stava capitando, o forse fui io a non essere capace di spiegarglielo.
Fino a quando arrivò lui. Lo trovai un mattino sulla credenza della cucina. Se ne stava lì, buono buono, senza dare troppo nell’occhio, nonostante le sue 1300 pagine. Un’amica di mia sorella le aveva prestato Il Signore degli Anelli e lei – dopo aver appurato che non le interessava – lo aveva parcheggiato tra l’oliera e l’origano. Lo presi in mano e ne sfogliai distrattamente qualche pagina. Una voce mi diceva che dovevo leggerlo, anche se in quel momento – lo giuro – la lettura di un romanzo era l’ultima cosa che avessi in mente.
Incominciai il viaggio e rimasi da subito stregato dalla Terra di Mezzo: per me divenne il luogo perfetto in cui rifugiarmi per sfuggire a quella dannata depressione. Un luogo ricco di spiritualità viva, che trasudava da ogni muschio, albero o chiaro di luna. Il potere evocativo della natura, ecco cosa trovai in Tolkien. Quella magia, quel bene immateriale che gli studi scientifici mi avevano scippato. Divorai il libro in pochi giorni, e lo rilessi subito una seconda volta.
Ricominciai a respirare, ma dopo qualche giorno tornò la paura. Sarei riuscito, sulla scorta di quell’avventura letteraria, a ritornare nel mondo reale senza ricadute? A quel punto, mi venne in aiuto il caso, anche se a me piace chiamarlo “destino”. Ricevetti infatti una telefonata dal Parco Nazionale d’Abruzzo: ci ero stato un paio di anni prima per un turno di volontariato, ora mi stavano richiamando perché avevano bisogno di volontari “esperti” durante un’importante manifestazione organizzata dal Parco.
Partii al volo. Furono giorni di lavoro incessante durante i quali non ebbi nemmeno il tempo di mettere piede in uno dei meravigliosi boschi che ammantano quei monti, cosa che mi deluse molto. Ma proprio alla fine del turno, l’allora responsabile del sevizio educazione ambientale del Parco, Gianni Netto, propose a me e agli altri quattri volontari di accompagnarlo in un’escursione notturna nella Foresta di Forca d’Acero. Quella notte, di cui non ho mai scritto nel dettaglio e di cui non scriverò nemmeno ora, fu come entrare nella Terra di Mezzo con tutto il corpo. Scoprii che le atmosfere che avevo respirato nel libro potevano essere sperimentate anche nella realtà, amplificandosi a dismisura. E potevano essere la chiave per comunicare un nuovo approccio alla terra e alla sua conservazione.
Quella notte a spasso tra radure, sentieri di stelle e immensi faggi rimarrà sempre con me. Non solo mi riportò definitivamente alla vita, completando il processo interiore iniziato con la lettura de Il Signore degli Anelli, ma fu anche di straordinaria ispirazione per la mia musica e per i miei libri. La canzone Lingalad, che racconta di un viandante che impara a comprendere il linguaggio degli alberi e cerca di renderlo musica per gli uomini, è nata proprio da quell’esperienza notturna nella Foresta di Forca d’Acero.
Oggi, guardandomi indietro, posso dire con certezza che la lettura de Il Signore degli Anelli è stata la scintilla che mi ha salvato dal baratro, indicandomi la direzione da seguire.
Una stella luminosa sull’orizzonte, nelle notti buie e senza sentiero.
Giuseppe Festa